mercoledì 24 ottobre 2018

Parma Marathon 2018 (ed altre noiose riflessioni di un anziano podista)


A seguito dell'infausto Passatore 2018 scrissi "l'indicatore principale del mio stato di salute sportiva è rappresentato dal grado di felicità in Maratona".

Parma 14 ottobre 2018, sono sullo "stradone" mancano poche centinaia di metri alla conclusione di questo ennesimo incontro con Lady 42K, mi appresto a svoltare per imboccare la via che mi porterà ad attraversare il "Tunnel of Glory", un veloce sguardo al cronometro  conferma le ottime sensazioni, la soddisfazione erompe in una sonora risata che fa voltare il podista che mi precede il quale pensa di essere nel mirino e lancia la sfida, non può conoscere  il vero motivo di quella risata...driinnn!, lascio che le gambe mi conducano sotto il gonfiabile tra l'incitamento del pubblico accalcato alle transenne e  con una felicità che fa sembrare che il tempo non sia mai passato da quel primo incontro:
Parma 23 settembre 2007 3:29:19;
Parma 14 ottobre 2018      3:29:20.
Una stretta di mano, due risate, un abbraccio sanciscono la fine della volata, come nella migliore delle tradizioni, la medaglia al collo dalle mani del grande Graziano, e poi  qualche attimo per ormeggiare la flotta di pensieri che galleggiano disordinati in balia del tumultuoso mare di endorfine.
L'anno scorso arrivai praticamente sbandando, insieme all'amico Luca incontrato intorno al trentacinquesimo anch'egli in giornata decisamente no, tagliammo insieme il traguardo ben oltre le quattro ore sentenziando con ironia la fine della nostra pseudo carriera podistica con un  bell'alibi confezionato con il conforto dell'anagrafe:"siamo vecchi".
In quell'edizione, quando al trentesimo aprii lo sportello delle riserve energetiche per attingervi quanto necessario per finire la gara, vi trovai giusto un limone di legno, un classico complemento d'arredo per frigoriferi da guru della mala gestione della spesa, in quel caso, energetica.
Ben diverso quest'anno, e non certo per fortuna.
Una preparazione da principiante, dedizione, poche e  mirate trasgressioni alimentari, una lunga estate fatta di corse in solitaria e nessun pettorale, al fine di ritrovare all'appuntamento di ottobre il gusto dell'eterno debutto, questo era l'obbiettivo.

Terza edizione di questa Parma Marathon, la classica giornata perfetta dal punto di vista meteo, ci dirigiamo verso la Cittadella con l'amico Mauro, l'antica fortezza brulica di vita podistica tipica del pre gara e tutto il contesto aiuta ad innalzare il tasso adrenalinico grazie anche  alla scenografia magistralmente approntata dall'organizzazione. Dopo i soliti preparativi eccoci in griglia, ritrovo Elena, la compagna di viaggio sul "pullman del disonore", il mitico Lello, Gabriele 3 - -  si ride di prodezze e di disgrazie podistiche, con tanti altri  c'è solo il tempo di un fugace saluto ma sempre con il piacere di rivedersi in azione. Poi lo sparo, in bocca al lupo, giro d'onore sul pistino, e via fuori dal parco, parata per le vie della Città il gruppo si sgrana dirigendosi verso la periferia, qualche chiacchiera, l'aria fresca del mattino, il sole, mille passi, mille respiri, e lentamente ci si trasforma in tanti Colin Smith.
Alla ricerca del mio passo procedo a vista dei pacer delle 3:30 guidato unicamente dal respiro, devo arrivare alla mezza senza mai superare questa cadenza, ho deciso, poi valuterò la situazione ai trenta e più in là vedremo, la parola d'ordine è "un passo dopo l'altro".
Verso il decimo individuo Luca, mi posiziono alle sue spalle "ma allora hanno riaperto i cancelli delle case di riposo?" una risata accoglie le mie parole, un  rapido riepilogo dei nostri guai e formiamo un trio di parigamba, insieme a Gianluca, procedendo  regolarissimi tra lunghi silenzi e rare parole. La mezza arriva presto, al trio si aggiunge Massimiliano, conosciuto alla B.A.M. 2017 ed ora anche lui in ripresa dopo un infortunio. Non c'è certo il pubblico delle Major lungo il percorso, ma nei centri attraversati il tifo non manca, i più agguerriti sono sempre i bambini, e quando ci si immerge nelle infinite distese di campi  i colori vividi del paesaggio mettono serenità, inoltre a dare ulteriore  carica ci pensano i volontari delle diverse società podistiche impegnate nei ristori. Intanto si entra a Basilicanova, è il trentesimo, nonché classico giro di boa del mio tapasciodromo extra urbano, quest'ultimo tratto di strada si materializza davanti agli occhi, conosco ogni metro, ogni piega dell'asfalto, apro lo sportello delle riserve energetiche e vedo in alto quel vecchio mezzo limone a far da monito, ma anche una discreta provvista da utilizzare con oculatezza e mestiere, più che sufficiente alle mie ambizioni odierne.
Accorcio il respiro ed aumento impercettibilmente il passo,  questo è il correre come intendo io, indipendentemente dal crono, la distanza aumenta, ma il traguardo si avvicina, i muscoli chiedono, la mente distribuisce energie scovandole da ogni recondito angolo, il respiro detta il ritmo, resta solo il rumore dei passi, una musica che accompagna il movimento, persino il grigio dell'asfalto che scorre sotto i piedi diventa un colore bellissimo, attraversiamo Porporano, vedo la fontanella, salvatrice delle mie corse estive, ed intanto la città si intravede vagamente, ancora qualche chilometro tra ville e campagne, lo stretto sottopassaggio, e si riemerge nel sole urbano, tra i palazzi, ora il profumo di traguardo è veramente forte, il lungo viale, poi finalmente lo stradone, e rieccoci all'inizio del racconto!


Il saluto dell'amico Gian Matteo mi distoglie dai pensieri, riprendo coscienza della realtà e subito con lo sguardo cerco di trovare i miei compagni di viaggio, dovrò aspettare qualche minuto per rivederli tutti.
Come al solito la Lady si diverte a rimescolare le carte ed è bello vedere la personale interpretazione dei risultati, così trovi un Gianluca che ti fa i complimenti per il tuo risultato mentre si limita a dire che a lui "è andata bene" come se un 2:45 si trovasse dietro l'angolo, altri si abbattono per la giornata no, Elena sempre con i piedi per terra, tranne nel dopo gara, finisce seconda di categoria e festeggia insieme al compagno che debutta sulla Distanza, Lello, in crisi, chiude in riserva, ma comunque felice, mentre Mister 2:56  si eclissa come suo solito, per sfuggire ai riflettori.  Una lunga chiacchierata con Gian Matteo, con l'intento di convincerlo ad entrare nel club dei Maratoneti, una fantastica foto con Valeria Straneo e Sara Dossena, ritrovo Luca, arrivato a pochi minuti da me, in piena ripresa anche lui, Massimiliano, felicissimo per la sua prima medaglia post intervento,  e poi finalmente ritrovo Mauro, bellamente spaparanzato nel prato della Cittadella intento a fare un riepilogo della giornata in codice binario, come suo solito, fortunatamente arrivano subito le Signore a distoglierci da numeri e progetti podistici e il tutto viene riportato a livelli ludico-turistico-gastronomici, come già era stato nel sabato precedente la gara, a celebrare il finale questo bel week end,  tecnicamente in trasferta per lui e Ania, in casa per noi, e spero un po' anche per loro.

Le ultime parole le spendo per l'organizzazione, ho già definito questa Maratona come una "bambina prodigio", merito della tanta passione di chi l'ha ideata e dei tantissimi che lavorano spesso nell'ombra, dei tanti volontari ed anche, perché no? di di noi podisti. Quest'anno le partenze differenziate, con l'arrivo comune in Cittadella hanno permesso a tutti di godere della grande festa del  traguardo comune e del ristoro finale,  un notevole miglioramento rispetto alle scorse edizioni, piccoli miglioramenti poi sono sempre possibili, anche grazie al nostro aiuto, inutile accanirsi per qualche disguido non dovuto a malafede, penso che tutti dovrebbero provare, almeno una volta (io ho avuto la fortuna di poterlo fare) a stare dall'altra parte del tavolo, come volontari, i nostri giudizi diventerebbero molto più obbiettivi e sereni.
Di solito chiudo i post augurando "buone corse", oggi aggiungo l'augurio di vivere al più presto una giornata speciale come quella che oggi è stata per me!
Parma 2019, ci sarò!


mercoledì 6 giugno 2018

Passatore 2018, resta solo il Kintsugi.

Scusate il ritardo, ma il rientro nella lotteria turnistica è stato brutale.
Di questo ritiro al Passatore (ebbene si!) restano tre momenti: l'abbraccio e le parole della vecchia gloria del Bosforo al mio arrivo in Piazza del Popolo;  quel "nooooo!" esclamato, alla mia vista, da chi, dall'altra parte delle transenne, aveva appena portato a termine una gara grandiosa;  il viaggio in ottima compagnia, sul "pullman del disonore" passato a dissezionare con leggerezza, ironia e macabra passione  il fantastico mondo del podismo in tutte le sue sfaccettature. Inutile stare a spendere parole che potrebbero sembrare un tentativo di trasformarmi, per fare una citazione dotta, in un "collezionista di alibi", così come trovo inutile cospargermi il capo di cenere: non mi sono mai sentito il "Luigi delle Bicocche" del podismo, questo è un periodo così, e raccolgo ciò che ho seminato, forse anche di più, ad essere onesto, la mia preparazione, al cospetto del Pelloni, era pari al vaso di coccio di Manzoniana memoria, è bastato molto poco per ritrovarmi in frantumi, ma le prime crepe arrivavano da più lontano, e non erano affatto occulte.
A questo punto l'unica decisione possibile è dedicarmi al Kintsugi, quell'antica tecnica, elevata ad arte, nata come  tentativo di riparazione di preziose tazze da tè da parte di alcuni ceramisti giapponesi, tecnica che ribaltò il concetto stesso di riparazione, normalmente intesa come un rimettere insieme i pezzi cercando di celare alla vista i segni della rottura.
Con questa tecnica, al contrario, i cocci vengono riassemblati rendendo protagoniste le linee di frattura, evidenziandole con materiali preziosi (oro o argento) ad affermare in pieno spirito Zen di come le cicatrici vadano portate orgogliosamente a testimonianza di aver superato le difficoltà ed essere diventati più forti e più ricchi, grazie all'esperienza.
Finita questa lunga premessa  non starò a parlare dei pochi chilometri percorsi, del ritiro e di quanto questo abbia pesato o meno, poiché a rileggere a mente fredda alcuni dei post più recenti mi sono reso conto di un altro segno di questa "rottura": nelle parole, la corsa ha quasi preso il sopravvento su persone, sensazioni ed emozioni, l'ultimo scritto quasi in linea con il "#VadoAcorrerePensiero" è forse quello riferito al Passatore 2017, ma anche lì mancano tanti episodi che avrei dovuto citare. Questo, da un lato può significare il desiderio di non fare morire il Blog, a dispetto dei tempi frenetici, dall'altro è indice del fatto che in qualche modo il desiderio di riprendere  senza se e senza ma, mi ha fatto sicuramente fatto perdere di vista le motivazioni che prima mi portavano ad allenarmi serenamente ed ottenere i miei "brillanti" tapascionici risultati.
È lì che devo tornare, e non per i tempi.

Firenze mi accoglie con una  classica giornata torrida adatta al mio spirito rettiliano, in Piazza Santa Maria Novella la fila per il ritiro dei pettorali è il primo girone del lungo percorso verso Faenza,   paradisiaco o infernale lo deciderà la strada. Si chiacchiera, si ride, si confessano ambizioni e timori, timori come quello del mio vicino di fila che viste le condizioni meteo, dubita di poter migliorare il crono dell'anno precedente, (tredici ore e due minuti), "però, d'altronde" dice, "non è che a settantadue anni possa pretendere di correre come un giovinotto" Espressioni equamente divise tra meraviglia e Urlo di Munch tutto intorno, dopo questa affermazione.
Poi arriva l'iscritto occulto. In realtà da sostenitore-stalker avevo già visto la sua iscrizione sul sito ma avevo rispettato il silenzio. Poche parole, le aspettative, qualche dettaglio sulla mia scarna esperienza, e la certezza che oggi verrà realizzato qualcosa di grande, ma non ne sarò io l'autore.
Chiacchiere e messaggi, i nodi della rete iniziano a collegarsi, manca all'appello solo la "Mitica", che mantiene il silenzio stampa, anche questo diligentemente rispettato. Un rapido scambio di messaggi e ci si ritrova tutti alla mensa PT, Monica in prima fila, poi tutti i  i vari centisti e non. Rivedo con piacere Marco, che esordì nell'anno del mio primo ritiro confermando quello che gli dissi prima della partenza, quando lui basandosi su numeri pregressi dava per scontato il mio risultato: "i risultati di queste gare si scrivono all'arrivo, non alla partenza" ormai è un pluricentista di quelli tosti,, poi Mauro, inutile parlarne, bellissimi chilometri percorsi insieme, chilometri che contribuirono ad accompagnarmi a Faenza, nel 2017, oggi qui per prendere il piatto della "quinta", Pino in qualità di supporter morale, oltre al tutto il gruppo di rassegnate o entusiaste s u/o pporter.
Stati mentali che vanno dalla nevrosi paranoica alla flemma britannica, passando per i gradi intermedi, senza stare a descrivere a chi rispettivamente appartengano. Il momento della partenza si avvicina ed ognuno di noi si dedica a se stesso ed ai suoi rituali
Mi creo un comodo box in Piazza, spengo il telefono, come d'abitudine, il caso mi riporta al fianco di un mio vicino dell'anno scorso, profondamente innamorato di questa gara (d'altronde, chi non lo è?) si sdrammatizza  e si scambiano due chiacchiere ricordando che l'anno prima gli diedi due fascette da elettricista che avevo in più, per fissare il chip (le ho sempre usate per non dover "smontare la scarpa") notando che il mio (mio, per modo di dire) sistema era stato adottato dagli organizzatori per l'edizione corrente. Ci salutiamo dopo gli incoraggiamenti di rito, direzione Piazza Duomo. Qualche rapido selfie con Cesario, reduce dalla Nove Colli, poi via, in gabbia, il gruppo si riforma, c'è il tempo di ridere e  scherzare  "facendo finta che", poi si parte, sotto il cielo di Firenze tremila comete in viaggio verso Faenza. In mezzo a loro, qualche meteora, io una di queste.

Ed eccomi in Piazza del Popolo, recupero sacca e telefono, chiamate e messaggi ad annunciare la disfatta, questa volta "The Fabulous Team" la prende bene, poiché preparato. Saluto Antonio, ritiratosi insieme a me e poi crollato nel sonno durante il viaggio,  saluto Elena con la quale abbiamo sdrammatizzato a lungo, irritando persino un compagno di viaggio leggermente asociale convinto di viaggiare in "area silenzio",  mi dirigo verso le transenne a ridosso del traguardo per applaudire quelli che sono ancora i primi arrivi, siamo intorno alle otto ore e trenta di gara, e con sorpresa vedo arrivare poco dopo il mio "vicino di box" di Firenze, autore di una splendida prestazione: ventiduesima posizione assoluta.
E' la prima volta che assisto all'arrivo di atleti così avanti in classifica, ed è veramente entusiasmante, l'emozione sui loro volti è la stessa di chi arriverà ore dopo, ma la soddisfazione di aver raccolto in pieno il risultato di tanti sacrifici è evidente.
Stiamo tutti qui a spellarci le mani, incrocio la compagna dell'iscritto occulto, dice di averlo sentito, e ci comunica l'orario di arrivo da lui pronosticato. Faccio due rapidi conti e sorridendo le dico: "ti ha mentito", e la conferma arriva poco dopo,  la fotocamera già attivata immortala il momento, in maniera tecnicamente indegna,  ma indelebile, poco più di dieci ore. Come ho già detto all'interessato: ammirato e commosso.
Le ore scorrono, gli arrivi si susseguono ma la stanchezza alla fine mi fa crollare facendomi perdere gli arrivi di Mauro e Marco e anche della Mitica all'esordio, i festeggiamenti sono rimandati al giorno dopo, per fortuna alloggiamo quasi tutti nello stesso albergo.
Il mattino arriva presto e la colazione è fatta di giusta soddisfazione, risate, buoni propositi, appuntamenti futuri e nessuna malinconia, un bel gruppo di persone, tutte quelle citate, non solo i presenti, persone  che le medaglie le appendono all'anima, non alla giacca come diceva Bartali, accompagnate da altre che certe medaglie sanno vederle ed apprezzarle.
Si conclude così questa mia disavventura in terra di Romagna. Ora come detto ad un'amica, un po' di ritiro spirituale, avevo tutta una serie di gare in programma, ma i programmi vanno rivisti in base alle condizioni del momento, chi mi segue e mi conosce sa che per me l'indicatore principe del mio  "stato di salute sportiva" è rappresentato dal  "grado di felicità" in Maratona, parametro nettamente in ribasso in questo 2018, è quindi inutile continuare a spillare pettorali sponsorizzati "Io c'ero", serve riorganizzare il tempo, la voglia, servono chilometri sotto il solleone in solitaria, serve tornare a far sorridere la Lady 42K, mi prendo tutto il tempo necessario, nel frattempo, buone corse!

venerdì 18 maggio 2018

"Incensurato per caso"

Mentre pensavo al trentennale della morte di Enzo Tortora mi è tornato in mente questo episodio accaduto ad un amico.
Pur non essendo una vicenda paragonabile, dovrebbe far riflettere su quanto sia facile essere stritolati da certi meccanismi, se vi si rimane incastrati per un errore.

Sono le ventuno di un giorno di giugno, Carlo e Mauro, due bravi ragazzi, quarta superiore, camminano verso casa dopo una serata trascorsa con altri amici tra una camminata in Piazza e una sortita nei locali di quella che oggi sarebbe definita “movida”. E’ quasi estate, l’anno scolastico volge ormai al termine, siamo nei mitici anni ottanta,  il look è quello di altre migliaia di ragazzi come loro, “501” scoloriti, camicia e giubbotto leggero, anche quello in jeans, forse anche le scarpe sono uguali. Il percorso costeggia il carcere cittadino, con le alte mura il cui camminamento è percorso regolarmente dalle guardie.

Camminano, chiacchierano, ridono, si lasciano il carcere alle spalle attraversando il grande viale alberato, tagliano per risparmiare qualche metro, passando in fila indiana tra le auto parcheggiate negli stalli ricavati sul largo marciapiede e qui qualcosa attira l’attenzione di Carlo: è un portafoglio. Si china a raccoglierlo, mentre Mauro che era avanti di un paio di passi si ferma e si volta, richiamato dall’amico.
Esaminano il contenuto dell’oggetto, (poche banconote e una carta d’identità), discutono sul da farsi decidendo infine che lo avrebbero consegnato in Questura nel pomeriggio seguente, ora è tardi, domani c’è scuola, le ultime interrogazioni di recupero disperato. Anche il pomeriggio di quella giornata era stato impiegato dai due per studiare insieme, a casa di Carlo, dove l’altro aveva poi lasciato la sacca con i libri che ora deve riprendere, ma non volendo disturbare, essendo quasi ora di cena, chiede all’amico la cortesia di poterlo aspettare giù, avrebbe atteso davanti al portone, approfittandone per fumare una sigaretta.

Carlo sale a casa, saluta i genitori avvertendoli che sarebbe arrivato   a tavola solo dopo qualche minuto, a causa dell’impegno preso, quindi infilati i libri nella sacca, corre giù per le scale per non attendere nemmeno l’arrivo dell’ascensore, apre il portone, si guarda intorno, e non vede nessuno.

Mauro stava accendendo la sigaretta quando aveva notato le due “Pantere” della Polizia percorrere quasi a passo d’uomo le corsie del Viale nelle due direzioni opposte, le aveva poi osservate mentre, poco più avanti, si affiancavano in prossimità di un’incrocio, vedeva i conducenti parlare dai finestrini abbassati, poi all’improvviso erano scattate, sgommando, nella stessa direzione, sirene spente, lampeggianti accesi. “Caspita” pensò, “sicuramente qualcosa di grave”. Arrivate di fronte a lui, la frenata, la sua espressione interrogativa, gli equipaggi che scendono di corsa, lo afferrano per le braccia e lo bloccano. “E’ lui?” chiede uno dei poliziotti. “Si è lui” risponde un’altro, che indossa una divisa diversa, che Mauro non conosce. “Allora andiamo” esclama il primo. 
Bastano pochi attimi per ritrovarsi buttato dentro una Giulietta che a sirene spiegate si dirige chissà dove. Le sue domande, ingenue ma tremendamente logiche, vista la situazione, “ma che ho fatto?” “ma dove mi portate” cadono nel vuoto.

Carlo, resta un po’ a scrutare il viale ormai deserto, stupito dal comportamento dell’amico, alla fine giunge alla conclusione che abbia avuto qualche necessità impellente e si sia diretto verso casa senza poterlo aspettare, quindi, divertito, si riserva di sfotterlo ben bene l’indomani, oltre a chiedere adeguato compenso in cibo e bevande, per il carico supplementare che avrebbe dovuto sobbarcarsi.

Mauro, angosciato, si trova  in Questura, ammanettato, seduto in un angolo sotto lo sguardo fisso di un agente. I suoi tentativi di avere chiarimenti si sono scontrati contro il silenzio tombale e l’indifferenza di tutti, le uniche parole che gli vengono rivolte sono ai fini dell’identificazione, poi rilievo impronte, foto, camera di sicurezza, la disperazione  si impadronisce di lui, non ha idea di che ora sia, pensa ai suoi genitori, a cosa avrà pensato Carlo non trovandolo e soprattutto non ha idea del perché si trovi lì. Non ha orologio né alcun riferimento, può solo rannicchiarsi sul parallelepipedo di cemento che funge da branda, e cercare di non impazzire.

Alle ventidue e trenta arriva una telefonata a casa di Carlo. Lui è già a letto, i genitori guardano la tv sul divano e sobbalzano preoccupati: squilli ad un'ora come quella non sono mai forieri di buone notizie. All'altro capo del filo, il padre di Mauro, che  sino ad un attimo prima era arrabbiato più che preoccupato, (pensava, che il figlio fosse rimasto a cena dall'amico senza avvisare), piomba nell'angoscia. Carlo viene buttato giù dal letto, interrogato in maniera incalzante mentre anche lui, ignaro di tutto non sa cosa pensare.

Alle ventitré inoltrate,  il telefono squilla a casa di Mauro. Una voce atona invita i genitori a presentarsi in questura dove il figlio si trova in stato di fermo per motivi che verranno spiegati in loco, consigliando loro di contattare un avvocato che possa assisterlo. Inutile descrivere lo stato d'animo diviso tra il senso di sollievo ed i  più cupi interrogativi, chiamano all'istante un amico avvocato e si dirigono di corsa in Questura.

E' quasi l'una del mattino del nuovo giorno quando il giovane "malvivente" viene riconsegnato alla famiglia, in quanto minorenne, nel frattempo vengono finalmente resi noti i motivi che hanno portato a tale provvedimento: un'agente di polizia penitenziaria, in servizio la sera precedente sul camminamento che ho descritto in precedenza, notando dei giovani trafficare tra le auto parcheggiate, aveva avvisato i colleghi delle "Volanti" che recatisi sul posto avevano trovato diverse auto con i vetri infranti. Avuta la descrizione dei giovani ed iniziata a perlustrare la zona, avevano poi trovato Mauro, da solo "in atteggiamento sospetto",  lo avevano fermato, ed era stato riconosciuto senza alcun dubbio dall'agente che nel frattempo aveva smontato dal servizio ed aveva partecipato  insieme ai colleghi alle fasi del fermo, in qualità di testimone oculare.
Rilasciato, con il processo per direttissima fissato per la mattinata, di lì a poche ore, praticamente già condannato.

Ed è proprio durante il processo che la fortuna, quella vera, interviene a salvare il povero Mauro.
Interrogato, descrive tutta la serata, la camminata verso casa, e solo a quel punto gli torna in mente quel passaggio tra le auto in sosta, il particolare di quel portafogli ritrovato, particolare rimosso, nel caos degli eventi, sia da lui che dall'amico, presente per testimoniare. Viene richiesto di poterlo visionare, il padre di Carlo si precipita a casa per tornare poi in Pretura dove ne viene esaminato il contenuto: ci sono le banconote e la carta d'identità che viene mostrata ad uno degli agenti il quale riconosce il soggetto, un pluripregiudicato, che dopo un rapido controllo risulta essere stato arrestato in flagranza di reato qualche ora dopo Mauro, mentre rubava su alcune auto, ed è anch'egli in attesa di essere processato.

Il Pretore chiede che l'individuo sia portato in aula e qui il primo colpo di scena: corporatura uguale, taglio di capelli simile, abbigliamento identico.
Gli viene chiesto se avesse perso il portafogli, e lui ammette di averlo scoperto al momento dell'arresto, in seguito alla richiesta di documenti, ipotizzando tra l'ilarità generale, di averlo perso durante un lavoro precedente. Ammette che il "lavoro" precedente riguardava proprio le auto poste sul cammino di Carlo e Mauro, scagionando a questo punto il poveretto, mentre il "testimone oculare" non accenna neanche a chiedere scusa per il suo sconclusionato riconoscimento.

Tralascio ogni commento sulle modalità di gestione di tutta la vicenda, e di come il tutto sia stato fatto poi svanire come una bolla di sapone, con la vittima costretta ad accontentarsi del lieto fine e dell'essere divenuto un "incensurato per caso".