mercoledì 22 gennaio 2014

Politically correct?

pacman-Pac-ManInglesismo molto in voga, e poco applicabile, forse,  all’episodio che sto per raccontare e che alcuni conoscono già, per averlo sentito direttamente dalla mia voce. Penso che come reato morale sia comunque caduto in prescrizione.

Veniamo al dunque. Ritengo un dovere, quando torno nella mia città ripercorrere qualche chilometro nella pseudo pista che sopportò il peso dei miei primi passi, pseudo pista che spesso è frequentata da pseudo atleti, ma non parlo di quelli come me, parlo di alcune gradevolissime personcine sotto il cui giogo passai anche io, a suo tempo, personcine il cui  sport è prevalentemente il ridere sotto i baffi  di chi, non particolarmente in forma,  si reca in quel luogo per cercare di rilassarsi, dimagrire,  o per qualunque personalissimo motivo, tranne quello di essere dileggiato dall’idiota di turno. Queste personcine sono “i fighetti palestrati” di cui parlo in uno dei primi post. Ora, il caso volle che trovandomi in quel luogo, anni dopo i miei primi passi, e precisamente nell’anno di preparazione alla maratona “under 3h”  ebbi la fortuna di assistere ad una “divertentissima” scena: quattro elementi, due ragazzi e due ragazze, abbigliati di tutto punto, con indosso una attillata tutina che riportava a caratteri cubitali il nome della palestra di grido del momento, i quattro correvano, chiaramente in riga, in modo da occupare tutta la strada, io ero dietro di loro, ormai in defaticamento dopo un bel medio corso altrove, sentivo le loro battute, rivolte ad  un ragazzo che si trascinava un po’ più avanti, in evidente lotta con un peso xxl. Non si accorsero di me, li seguii per un po’, continuarono a schernire il poveretto che non sentiva, o faceva finta, li sentii darsi appuntamento per la prossima pseudo corsa, a quel punto cambiai direzione, non volevo essere notato.  Bene, io non ho mai avuto ambizioni da super eroe, neanche da giustiziere della notte, o del tardo pomeriggio, però, quanto avevo visto e sentito mi aveva riportato indietro di anni, nonché  irritato notevolmente, fu così che le infelici battute del quartetto funsero da super arachidi, dando vita ad un Super Pippo leggermente bastardo dentro.

Il giorno dell’appuntamento, mi presento anche io in pista, con un abbigliamento al di sopra di ogni sospetto: maglietta in cotone, slavata, calzoncini sopra il ginocchio, grigi, di una nota marca, quei calzoncini che hanno la caratteristica di arrampicarsi su per le gambe come fossero tessuti da Manolo, e che, se non esistesse il dolore, potrebbero evirarti per abrasione dopo un numero variabile di chilometri,  calze corte ripiegate, insomma, la classica “roba da corsa” da neofita. Unica nota stonata, le scarpe, ma non essendo le Asics note come “quelle altre famose”, ero sicuro di non dare adito a sospetti, in un luogo dove l’abito fa il monaco.

Mi accodo ai quattro dopo il loro primo giro, procedono in riga come sempre, chiacchierano, polpacci che forse hanno visto forse fatica, ma mai sudore, sicuramente. Oso il sorpasso fingendo un certo sforzo, ecco, sento i loro sguardi, un sommesso bisbigliare, sicuramente è già partito qualche commento, accelero impercettibilmente, mi stanno dietro, sto intaccando le difese immunitarie del loro iper ego, accelerò un po’, sento che le pause tra le loro parole si fanno più lunghe, però mi stanno alle calcagna.  Secondo giro, allungo ancora, da quel che sento, gli argomenti di conversazione iniziano a scarseggiare ma si finge indifferenza, qualche finto colpo di tosse a mascherare l’avviso di “debito d’ossigeno”. Terzo giro, errore fatale del maschio alfa del quartetto: sulla base della mia respirazione rumorosa, pronostica un incipiente infarto. Sento le risate, la mia ormai prossima e prematura dipartita è accolta anche con un certo sollievo, stiamo entrando nel quarto giro e non si può rischiare di farsi distaccare da un non eletto. Accelero più decisamente, c’è un tratto in piano poi a sinistra, la discesa, qui le macchine parcheggiate consentono di guardarmi alle spalle attraverso il riflesso sui vetri, vedo i due far cenno alle ragazze di  andare calme, perfetto, aspettavo solo questo. Tratto in piano prima di affrontare la salita, lascio andare le gambe, arrivo lentamente ai miei ritmi, mentre alle spalle, dopo un primo disperato ciabattare accompagnato da qualche rantolo, non sento più nulla. Il triste circuito è una sorta di rettangolo con i lati lunghi in pendenza, uno sviluppo totale di novecento metri, i lati corti in piano, per circa duecento metri totali. Mi basta percorrere un semi perimetro per raggiungere le ragazze, che mi guardano stupefatte, continuo al mio ritmo, ritrovo il gruppetto alla fine di un altro giro, sono fermi a fare stretching, sicuramente i due hanno voluto evitare l’onta del doppiaggio. Niente aria di scherno ora, solo mutismo e rassegnazione:  “è la corsa bellezze!” (liberamente tratto), ammira chi sta davanti, rispetta chi ti lasci alle spalle, non chiede altro per essere vissuta.

Buone corse!

6 commenti:

  1. fin troppo gentiluomo! Ricorderanno in una situazione analoga!
    ps:
    "UMILTA' E' LA PAROLA D'ORDINE" e la corsa DOCET

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  2. Sei mitico!! W i superpippo che sono tra noi. E ce n'è per tutti!

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  3. "ammira chi ti sta davanti, rispetta chi ti lasci alle spalle" non può che essere così!!!
    gran bella lezione hai dato, grandissimo Filippo!

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  4. Che bello far riprendere vita al Blog e rivedere i vecchi commenti slow dell'epoca pre FB :-) Grazie a tutti!

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  5. ciao sono capitato per caso sul tuo blog, e ho letoo questo divertentissimo post che quoto alla grande!
    Ciao, Ferdinando ..... podista per amore

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