venerdì 18 maggio 2018

"Incensurato per caso"

Mentre pensavo al trentennale della morte di Enzo Tortora mi è tornato in mente questo episodio accaduto ad un amico.
Pur non essendo una vicenda paragonabile, dovrebbe far riflettere su quanto sia facile essere stritolati da certi meccanismi, se vi si rimane incastrati per un errore.

Sono le ventuno di un giorno di giugno, Carlo e Mauro, due bravi ragazzi, quarta superiore, camminano verso casa dopo una serata trascorsa con altri amici tra una camminata in Piazza e una sortita nei locali di quella che oggi sarebbe definita “movida”. E’ quasi estate, l’anno scolastico volge ormai al termine, siamo nei mitici anni ottanta,  il look è quello di altre migliaia di ragazzi come loro, “501” scoloriti, camicia e giubbotto leggero, anche quello in jeans, forse anche le scarpe sono uguali. Il percorso costeggia il carcere cittadino, con le alte mura il cui camminamento è percorso regolarmente dalle guardie.

Camminano, chiacchierano, ridono, si lasciano il carcere alle spalle attraversando il grande viale alberato, tagliano per risparmiare qualche metro, passando in fila indiana tra le auto parcheggiate negli stalli ricavati sul largo marciapiede e qui qualcosa attira l’attenzione di Carlo: è un portafoglio. Si china a raccoglierlo, mentre Mauro che era avanti di un paio di passi si ferma e si volta, richiamato dall’amico.
Esaminano il contenuto dell’oggetto, (poche banconote e una carta d’identità), discutono sul da farsi decidendo infine che lo avrebbero consegnato in Questura nel pomeriggio seguente, ora è tardi, domani c’è scuola, le ultime interrogazioni di recupero disperato. Anche il pomeriggio di quella giornata era stato impiegato dai due per studiare insieme, a casa di Carlo, dove l’altro aveva poi lasciato la sacca con i libri che ora deve riprendere, ma non volendo disturbare, essendo quasi ora di cena, chiede all’amico la cortesia di poterlo aspettare giù, avrebbe atteso davanti al portone, approfittandone per fumare una sigaretta.

Carlo sale a casa, saluta i genitori avvertendoli che sarebbe arrivato   a tavola solo dopo qualche minuto, a causa dell’impegno preso, quindi infilati i libri nella sacca, corre giù per le scale per non attendere nemmeno l’arrivo dell’ascensore, apre il portone, si guarda intorno, e non vede nessuno.

Mauro stava accendendo la sigaretta quando aveva notato le due “Pantere” della Polizia percorrere quasi a passo d’uomo le corsie del Viale nelle due direzioni opposte, le aveva poi osservate mentre, poco più avanti, si affiancavano in prossimità di un’incrocio, vedeva i conducenti parlare dai finestrini abbassati, poi all’improvviso erano scattate, sgommando, nella stessa direzione, sirene spente, lampeggianti accesi. “Caspita” pensò, “sicuramente qualcosa di grave”. Arrivate di fronte a lui, la frenata, la sua espressione interrogativa, gli equipaggi che scendono di corsa, lo afferrano per le braccia e lo bloccano. “E’ lui?” chiede uno dei poliziotti. “Si è lui” risponde un’altro, che indossa una divisa diversa, che Mauro non conosce. “Allora andiamo” esclama il primo. 
Bastano pochi attimi per ritrovarsi buttato dentro una Giulietta che a sirene spiegate si dirige chissà dove. Le sue domande, ingenue ma tremendamente logiche, vista la situazione, “ma che ho fatto?” “ma dove mi portate” cadono nel vuoto.

Carlo, resta un po’ a scrutare il viale ormai deserto, stupito dal comportamento dell’amico, alla fine giunge alla conclusione che abbia avuto qualche necessità impellente e si sia diretto verso casa senza poterlo aspettare, quindi, divertito, si riserva di sfotterlo ben bene l’indomani, oltre a chiedere adeguato compenso in cibo e bevande, per il carico supplementare che avrebbe dovuto sobbarcarsi.

Mauro, angosciato, si trova  in Questura, ammanettato, seduto in un angolo sotto lo sguardo fisso di un agente. I suoi tentativi di avere chiarimenti si sono scontrati contro il silenzio tombale e l’indifferenza di tutti, le uniche parole che gli vengono rivolte sono ai fini dell’identificazione, poi rilievo impronte, foto, camera di sicurezza, la disperazione  si impadronisce di lui, non ha idea di che ora sia, pensa ai suoi genitori, a cosa avrà pensato Carlo non trovandolo e soprattutto non ha idea del perché si trovi lì. Non ha orologio né alcun riferimento, può solo rannicchiarsi sul parallelepipedo di cemento che funge da branda, e cercare di non impazzire.

Alle ventidue e trenta arriva una telefonata a casa di Carlo. Lui è già a letto, i genitori guardano la tv sul divano e sobbalzano preoccupati: squilli ad un'ora come quella non sono mai forieri di buone notizie. All'altro capo del filo, il padre di Mauro, che  sino ad un attimo prima era arrabbiato più che preoccupato, (pensava, che il figlio fosse rimasto a cena dall'amico senza avvisare), piomba nell'angoscia. Carlo viene buttato giù dal letto, interrogato in maniera incalzante mentre anche lui, ignaro di tutto non sa cosa pensare.

Alle ventitré inoltrate,  il telefono squilla a casa di Mauro. Una voce atona invita i genitori a presentarsi in questura dove il figlio si trova in stato di fermo per motivi che verranno spiegati in loco, consigliando loro di contattare un avvocato che possa assisterlo. Inutile descrivere lo stato d'animo diviso tra il senso di sollievo ed i  più cupi interrogativi, chiamano all'istante un amico avvocato e si dirigono di corsa in Questura.

E' quasi l'una del mattino del nuovo giorno quando il giovane "malvivente" viene riconsegnato alla famiglia, in quanto minorenne, nel frattempo vengono finalmente resi noti i motivi che hanno portato a tale provvedimento: un'agente di polizia penitenziaria, in servizio la sera precedente sul camminamento che ho descritto in precedenza, notando dei giovani trafficare tra le auto parcheggiate, aveva avvisato i colleghi delle "Volanti" che recatisi sul posto avevano trovato diverse auto con i vetri infranti. Avuta la descrizione dei giovani ed iniziata a perlustrare la zona, avevano poi trovato Mauro, da solo "in atteggiamento sospetto",  lo avevano fermato, ed era stato riconosciuto senza alcun dubbio dall'agente che nel frattempo aveva smontato dal servizio ed aveva partecipato  insieme ai colleghi alle fasi del fermo, in qualità di testimone oculare.
Rilasciato, con il processo per direttissima fissato per la mattinata, di lì a poche ore, praticamente già condannato.

Ed è proprio durante il processo che la fortuna, quella vera, interviene a salvare il povero Mauro.
Interrogato, descrive tutta la serata, la camminata verso casa, e solo a quel punto gli torna in mente quel passaggio tra le auto in sosta, il particolare di quel portafogli ritrovato, particolare rimosso, nel caos degli eventi, sia da lui che dall'amico, presente per testimoniare. Viene richiesto di poterlo visionare, il padre di Carlo si precipita a casa per tornare poi in Pretura dove ne viene esaminato il contenuto: ci sono le banconote e la carta d'identità che viene mostrata ad uno degli agenti il quale riconosce il soggetto, un pluripregiudicato, che dopo un rapido controllo risulta essere stato arrestato in flagranza di reato qualche ora dopo Mauro, mentre rubava su alcune auto, ed è anch'egli in attesa di essere processato.

Il Pretore chiede che l'individuo sia portato in aula e qui il primo colpo di scena: corporatura uguale, taglio di capelli simile, abbigliamento identico.
Gli viene chiesto se avesse perso il portafogli, e lui ammette di averlo scoperto al momento dell'arresto, in seguito alla richiesta di documenti, ipotizzando tra l'ilarità generale, di averlo perso durante un lavoro precedente. Ammette che il "lavoro" precedente riguardava proprio le auto poste sul cammino di Carlo e Mauro, scagionando a questo punto il poveretto, mentre il "testimone oculare" non accenna neanche a chiedere scusa per il suo sconclusionato riconoscimento.

Tralascio ogni commento sulle modalità di gestione di tutta la vicenda, e di come il tutto sia stato fatto poi svanire come una bolla di sapone, con la vittima costretta ad accontentarsi del lieto fine e dell'essere divenuto un "incensurato per caso".

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