sabato 18 ottobre 2025

La più bella onda di Nazarè

"Un mercoledì da leoni" visto non so quante volte, qualche video  di surfate estreme in quel di Nazarè, sponsorizzato dalla solita bevanda che promette mutazioni ornitomorfe, la scoperta che quel paesino, patria delle "big wave"  si trovasse ad una distanza accettabile dalla mia destinazione principale, tanto è bastato  a farmi optare per una deviazione ed un prolungamento del viaggio. 

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Arrivo a Nazaré in un pomeriggio di pioggia, so che il periodo clou delle onde giganti è passato da un paio di settimane e l'oceano è molto abitudinario, ma ho pensato che valesse comunque la pena fare un tentativo, mi aspettavo un luogo ultra turistico ma nonostante l'orda predatoria di un certo genere di "viaggiatori" e nonostante il lungomare sia stato di fatto trasformato in una sorta di Miami de noantri, c'è ancora una evidente lotta tra passato, presente e futuro incerto, come cantava Carotone.
Una lotta che si rivela nell'infinità di cantieri fronte mare che tendono a trasformare le vecchie case di pescatori in mini appartamenti per vacanze, case certo ormai abbandonate, come quella che vedo dalla finestra dell'albergo; il tetto ormai crollato, ma appese ancora alle pareti le foto della famiglia che vi aveva vissuto, come se ancora rivendicassero la loro presenza in quel luogo, un altro segno di questa lotta? Probabilmente tanti anni fa, molto, molto prima dell'arrivo dei surfisti qui la vita era simile a quella descritta nei romanzi di Verga, ma la contaminazione porta vantaggi ma anche innumerevoli svantaggi.
Perché sto divagando in questo modo anziché parlare delle bellezze del paesaggio, delle onde impetuose che seppur "piccole" l'app Windy stimava in 12-15 metri di altezza?
Perché, come nelle corse capita  che ti porti a casa qualcosa che poco ha a che fare con il crono, il pettorale o la medaglia, anche da Nazaré sono andato via con qualcosa che esula dalle bellezze e dalle onde, qualcosa che nella mia scala di valori ha fatto passare in secondo piano lo scopo iniziale del viaggio.
Appena sistemate le mie cose mi dedico all'esplorazione del paese, girovagando senza meta,  inerpicandomi per le viuzze più antiche paese sino a trovarmi, nell'eterna ricerca di una dose di caffeina, in un minuscolo bar, in realtà più una taverna, nascosta tra i vicoli, arredi a dir poco spartani, clientela quasi esclusivamente femminile dall'età che sicuramente le collocava dalla parte dell'antico, e cosa importante, tutte rigorosamente vestite con il costume tradizionale con le caratteristiche sette gonne che non starò qui a descrivere, ma per brevità vi rimando a chi già ne ha parlato in maniera esaustiva. Dai tavoli si eleva un chiacchiericcio che sa di vita di comunità e di condivisione, due, tre, quattro amiche ad ogni tavolino, ma la comunicazione travalica la distanza e  passa da tavolo a tavolo, qualcuna ha con se il nipotino, qualcuna un immusonito marito, poi ci sono io che vengo osservato un po' di traverso, ma non abbastanza da farmi sentire fuori luogo.
Avevo letto qualcosa su queste "donne di Nazarè" e del loro abbigliamento che in molti articoli e post veniva quasi fatto passare come un qualcosa di folcloristico al servizio del turista, invece per me risulta immediato fare un parallelo con ciò che avveniva, e in piccola misura ancora avviene in molti paesi della mia Sardegna dove le donne più anziane continuavano e continuano a vestire con orgoglio il costume tradizionale,  non certo per deliziare i turisti. Ovviamente non scatterò alcuna foto, vado via con la consapevolezza di avere avuto la fortuna di respirare per qualche attimo la vera  anima di questo posto.
Tornare verso il mare è facilissimo è sufficiente prendere una strada qualunque e seguire la pendenza,    divisa tra stretti vicoli e qualche gradinata per ritrovarmi al cospetto 
dell'oceano, davanti alla grande spiaggia dove un tempo venivano tirate a secco a forza di braccia le barche a remi con le quali uomini coraggiosi affrontavano quel mare ben prima dei surfisti e con ben altre motivazioni. Vengo attirato da un capannello di gente, mi avvicino, ed ecco un'altra visione che mi riporta ad anni lontanissimi, a quando era normale, passeggiando lungo il porto di Alghero, osservare i pescatori intenti con mani esperte e pazienza infinita a riparare le reti dopo la notte passata in mare. Anche qui c'è un vecchio intento a riparare delle reti, la stessa pelle bruciata dal sole, il viso solcato da profonde rughe ma la scena gli viene rubata da una donna. Seduta su un basso sgabello, due bacinelle colme d'acqua, ai lati  ed una cassetta colma di pesci tenuta sulle gambe, in una mano tiene un coltello affilatissimo, con la sinistra prende un pesce, con un rapidissimo e sinuoso movimento lo apre in due, sciacqua in una bacinella il pesce, nell'altra il coltello, lancia il pesce lavorato in un contenitore posto davanti a lei  e riprende da capo in un loop infinito, quasi ipnotico. Il pesce così trattato verrà poi posizionato su delle "spalliere" per essere essiccato al sole. 

Molti si accalcano, scattano foto a pochissima distanza, commentano, io mi siedo su un muretto e sto ad osservarla per diverso tempo, pian piano il gruppo si dirada, anche l'uomo va via dopo aver evidentemente terminato il suo compito, resta solo lei e il suo antico gesto. Si accorge di me che continuo ad osservarla incantato, in qualche modo le chiedo se posso scattarle una foto, e in qualche modo mi fa capire che la tariffa è pari a dieci caffè, le indico le tasche vuote e ride. Fotografo il pesce messo ad essiccare al sole, le sue mani, poi qualche scatto da lontano, infine mi riavvicino per ingraziare e salutare, per quanto possa essermi fatto capire. 
Ma non  mi sento di andar via in questo modo, così, entro  nella pasticceria poco distante a  prendere  due caffè e due pastel de nata e fare ritorno  verso il suo piccolo regno. C'è già qualche curioso, mi affretto accomodandomi direttamente sulla sabbia vicino a lei, le porgo il caffè con il pasticcino e da quel viso scavato e indurito da anni e anni di lavoro all'aria aperta viene fuori un sorriso che non dimenticherò mai. 

Dice qualcosa, sicuramente qualcosa di bello e quando terminiamo di consumare questo piccolo improvvisato spuntino e faccio per alzarmi ed andar via, allunga una  mano e mi accarezza il viso come se fossi un bambino, ringraziando e accompagnando il gesto con una replica del sorriso di prima.
Per me, che non sono un surfista, questa è stata la mia "big wave" qui a Nazarè , una buona onda che mi emoziona allo stesso modo ogni volta che mi ritorna in mente e mi scuserete se alcuni scatti li terrò solo per me.
PS Il posto è veramente fantastico e le onde spaventosamente meravigliose, anche da piccole, ma quella è ordinaria amministrazione.




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