domenica 19 luglio 2015

Dialoghi tra un "pedi di brangia" e un fuoriclasse.

20150718_223143Nel dialetto della mia città natia, quella della Dinamo, ma non in  Ucraina, il virgolettato del titolo sta ad indicare in senso figurato, quei giocatori di pallone che non hanno nella precisione di tiro la loro dote principale, attribuendogli il possesso di due ferri da stiro in luogo dei piedi, categoria alle quale mi onoro di appartenere. Fatto questo preambolo devo andare indietro  di qualche anno, esattamente sino al  millenovecentottantasei,  per spiegare le ragioni di questa stramba intestazione del post.
Era un caldo giorno di Luglio quando la Patria mi chiamò a servizio, come d'uso in quegli anni, proiettandomi da una spiaggia assolata ad un polveroso piazzale altrettanto assolato,  da percorrere in lungo e in largo, di giorno e a volte di   notte, a dispensar passi,   cadenze, attenti a destra e a manca, ed altre marziali amenità,   un mese di c.a.r., acronimo sconosciuto alla nuove generazioni, per poi, a dispetto della destinazione desiderata, essere trattenuto sul posto, selezionato in base ad imperscrutabili  criteri insieme ad altri cinque sventurati, in qualità di a.g.i.: allievo graduato istruttore.

Chi ha fatto la naja sa che nell'arco dell'anno si incontravano chiaramente  persone di ogni genere, ma all'epoca rimasi colpito tra gli altri  da diversi personaggi che necessariamente dovettero passare anch'essi sotto il giogo della "stecca", ed in particolare alcuni calciatori. Questi si riconoscevano di norma, (già da allora), per l'ostentazione maniacale del loro status, parliamo di giocatori di serie "infime" senza offesa per nessuno, che si atteggiavano a stelle del calcio mondiale, con supercar davanti ai cancelli, e soprattutto con spocchia come se piovesse, orgogliosissimi del loro apparire e dogmaticamente convinti del loro essere.
C'era poi quel ragazzo,  con il sorriso che accompagnava sempre il saluto. Anche lui aveva appena concluso il c.a.r. e anche lui era stato selezionato per il corso a.g.i., non conoscevo il suo nome né sapevo di dove fosse, lo avevo incrociato qualche volta di sfuggita in mensa, o al ritorno dalla libera uscita, mentre parcheggiava nel piazzale davanti alla caserma la sua Renault 9 grigia, che doveva aver conosciuto tempi migliori.
Iniziato il corso fummo trasferiti tutti in una camerata unica  e questo, oltre al giornaliero addestramento  facilitò la nascita di un bel gruppo, ma non starò qui a raccontare episodi di quel periodo, che pure meriterebbero, anche perché i più divertenti sono coperti da segreto militare perpetuo. Voglio invece riportare fedelmente, perché, anche se difficile da credere, ricordo ogni singola parola di quel dialogo, dicevo, voglio riportare fedelmente uno stralcio di una certa chiacchierata, che mi ritorna sempre  in mente in certe occasioni.

omissis...
Gli confesso: -Sai che  ho capito che eri tu  solo quando ci hanno presentato ad inizio corso? Non ti dai molto da fare per farti notare, a differenza di altri.-
-A me piace giocare a calcio-
-E lo fai anche molto bene-
Un sorriso imbarazzato per poi glissare, ribattendo:- A te non piace?
-Son più bravo a prendere caviglie che palloni, quindi evito, per il bene dei miei amici.
-Da piccolo non giocavi?
-Si, certo,  ma in realtà non ho mai avuto una grossa passione, nessuno me la ha  mai trasmessa-
-Io invece ci  andavo matto già da piccolo.  Anche nei momenti in cui non c'era  nessuno con cui giocare, uscivo da casa con il pallone e, sai, vicino c'era una chiesa con un cortile al quale si accedeva da un portale in pietra, che diventava la mia porta,  stavo ore a tirare, cercando di far entrare la palla da tutte le distanze e  nei punti più difficili, immaginando di essere allo stadio durante una partita-
omissis...

Ho ripensato spesso a quelle parole,   nel tempo, quando davanti alla tv o a qualche giornale sportivo vedevo il frutto del talento, della classe e della volontà che continuavano a crescere, ma anche l'umiltà e la concretezza che parevano  immutate, a sentire le interviste, e lo erano, come ebbi conferma qualche anno dopo, quando  in quel di Cannigione, il caso ci volle ospiti di due amici confinanti. Fu come incontrare un qualsiasi commilitone, qualche esitazione da parte sua, ma solo perché il sottoscritto era già in partenza per Lipolandia e ormai pelato, quindi non immediatamente riconoscibile, poi fu  come se il tempo fosse rimasto ad allora e niente fosse successo, si parlò dei tempi andati e di tutto un po' e quando, prima di congedarci, gli dissi:
-Sai bene che non seguo il calcio, ma per te ho sempre fatto un'eccezione, ti meriti tutto ciò che hai avuto sinora, e tutto quello che ancora avrai"-
Ecco, a queste mie parole oltre ad un timido ringraziamento seguì lo stesso sorriso imbarazzato già visto durante quella lontanissima chiacchierata avvenuta in quel lontanissimo ottantasei mentre, seduti sui gradini che portavano alla  Piazza d'Armi della gloriosa Brigata Sassari, due ragazzi, uno appunto dai "pedi di brangia" e l'altro, semplicemente un fuoriclasse a cui piaceva giocare a calcio, attendevano l'inizio dell'ennesima sessione  di addestramento, e quando vedo certe prodezze, non posso non pensare ad un bambino solo, con il suo pallone, che sotto il sole di Oliena, semplicemente, sogna, e altrettanto semplicemente gioca affinché i suoi sogni possano avverarsi.
Inutile dire che considero un privilegio ed un onore averlo conosciuto, non lo cito  (c'è la foto, non mi sembra che serva altro), perché voglio evitare per quanto possibile di "guadagnare visite" sfruttando la sua notorietà.
Ed ora vado a stirare qualche chilometro di bitume, buone corse!

P.S.
Chi pensasse che io sia stato raccomandato, vista la destinazione, sappia che ho fatto più guardie di un v.a.m. e ho visto casa meno di certi veneziani, che erano i più disagiati.

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